Probabilmente è un Oscar che premia tutta la trilogia perciò sarebbe riduttivo analizzare solamente quest’ultimo capitolo della saga fantasy di Peter Jackson, tratta dal libro Il Signore degli anelli di Tolkien. Eppure non si può fare a meno di notare che Il ritorno del re è nettamente inferiore ai due film precedenti e non riesce, nonostante le grandi attese, a riproporre l’alone di magia che circonda La compagnia dell’anello e, soprattutto, Le due torri, per me il capitolo più riuscito. Le colpe possono esser tante: l’eccessiva lunghezza (mezzora più lungo dei precedenti), la troppa fedeltà al libro in alcune sequenze e l’esatto opposto in altre (la battaglia di Minas Tirith doveva essere completamente al buio invece c’è il sole e questo rende inutile il discorso sull’oscurità del re di Rohan), una sceneggiatura a tratti ridicola, con frasi da fantasy poco pretenzioso, e un montaggio frettoloso, disturbante, che spezza il ritmo delle scene senza giustificazioni. Tolto il troppo amore dei fan, non si può non parlare di film mediocre vedendo scene come l’uccisione del re dei Nazgul da parte di una donna (perché lei non è un uomo, mah) con tanto di urletto ridicolo prima di infilzare la testa dello spettro, o ancora la faccia da”ho un mal di pancia, mi serve un bagno non resisto più” di Frodo appena colpito dal ragno Shelob (recuperatele e capirete). Resta la fotografia mozzafiato, le ottime prove attoriali, le musiche e i miliardi incassati. E restano gli 11 Oscar, record storico assieme a Ben Hur e Titanic. Peccato per Mystic River, capolavoro di Clint Eastwood, che meritava il Miglior Film. Si rifarà l’anno successivo.
Matteo Chessa